Empire of light - Film (2022)

Un film in cui Mendes pare credere molto, dato che ha firmato anche la sceneggiatura; di sicuro ha momenti evocativi, così come la ricostruzione d'epoca (siamo a inizio anni '80 in Inghilterra) e delle agitazioni sociali in corso è ben fatta, però il regista pare voler mettere troppa carne al fuoco e a tratti il film si perde per strada. Malattie mentali, traumi infantili, razzismo, abusi, relazioni impossibili, il vecchio cinema come teatro della vita; tanti temi importanti non sempre sintetizzati con il giusto equilibrio, a dipingere bozzetti struggenti ma nell'insieme poco coesi.

Sam Mendes dirige un film malinconico, dal gusto decisamente retrò e dalla forte vena autobiografica. Una pellicola di stampo classico bene ambientata in una “sonnacchiosa” cittadina costiera inglese dove sopravvive una sala cinematografica che ha visto giorni migliori. Sebbene il regista tenda a mettere insieme (e talvolta in modo poco lineare) diversi argomenti, l’insieme è gradevole grazie alla scelta di temi in controtendenza rispetto al cinema contemporaneo e alla grande bravura degli interpreti. Micheal Ward, in particolare, è una grande rivelazione, la Colman una conferma.

Troppa, davvero troppa, è la carne messa sul fuoco da Mendes in questa sua ultima opera. Il risultato è che ogni tematica, per quanto importante, viene trattata molto superficialmente, senza essere messa bene a fuoco. Troppe sono anche le scene madri, ma ciò è nello stile del regista che spesso si perde anche in dialoghi e discorsetti banali. Va invece riconosciuta al film una grande capacità di ricostruire gli ambienti dell'epoca su cui spicca quello del cinema. Pochi, forse pochissimi, i momenti veramente emozionanti. Deludente.